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mercoledì 27 maggio 2015

A 1.300 chilometri da Buenos Aires il turismo sta facendo le prime prove.

A 1.300 chilometri da Buenos Aires, nelle regioni del Noroeste, il turismo sta facendo le prime prove ed è quasi esclusivamente alimentato da argentini, che si aggirano turbati dalle radici tribali e andine della loro nazione.

Sulla verticale del Tropico del Capricorno ci sono località come Cafayate, con la sua spettacolare quebrada scavata dalle acque, o Purmamarca, con quel Cerro de los Siete Colores che pare un’opera della pop art, dove può accadere di incontrare qualche pullman di portenos, gli abitanti della capitale, in vacanza.

Ma basta imboccare le sterrate delle antiche miniere di zolfo o seguire i binari rugginosi del tren a las nubes, che pare uscito da un western di John Ford, per incontrare le solitudini della puna, il deserto d’alta quota che si stende fra i tre e i quattromila metri. Di turisti qui ne capitano poche decine all’anno e questi spazi grandiosi e desolati continuano a essere il regno delle vigogne, strane gazzelle andine che fuggono spaventate nell’aria dell’alta quota.




Da Buenos Aires a Salta ci sono solo due ore di volo, ma la sensazione di avere fatto il balzo in un altro mondo si avverte appena ci si inoltra nelle stradine dell’antica città coloniale, fiorente quando la capitale era poco più di uno sparuto borgo. Salta è la porta delle Ande e reca tutte le stratificazioni delle culture che l’hanno formata: quella diaguita-calchaqui, quella incaica, l’eredità spagnola e lo spirito creolo che ispirò la lotta per l’indipendenza nazionale.

La città è il punto di partenza per la visita del Noroeste, una regione grande quanto l’Italia, incuneata tra Cile, Bolivia e Paraguay. Tre sono le aree più interessanti: a sud la Valle Calchaquies, a nord la Quebrada de Humahuaca, a ovest la puna di Tolar Grande.

Della puna non si dimentica l’odore acuto: polvere rossa e cespugli spinosi e aromatici come erbe alpine. Buenos Aires è lontana da questo angolo di Sahara incuneato nel cuore delle Ande. Ma è quassù nelle estreme province del nord-ovest che l’Argentina rivela una delle sue anime meno convenzionali.

Non quella delle milongas della Boca, con quel tango ormai posticcio quanto le colorate facciate di ciò che sopravvive dei quartieri degli immigrati di inizio secolo. E neppure l’anima da documentario National Geographic della Patagonia del Perito Moreno e delle torri di granito contemplate da qualche resort, che sa più di Svizzera che di fin del mundo.

La provincia di Salta resiste ancora a ogni stereotipo. La cultura latina cede qui al mondo misterioso delle civiltà precolombiane, ai rituali immemorabili dei quechua, alle credenze degli indigeni calchaquies, a un cristianesimo sincretistico in cui la Vergine si confonde con la Pachamama, remota divinità delle acque e della fertilità festeggiata ad ogni inizio di agosto.

È il tramonto. La Land Cruiser allunga la sua coda polverosa sulle piane aranciate del deserto del labirinto. Poi entriamo in un caos di bizzarre formazioni di arenaria color mattone, che si susseguono fitte come gli edifici di una metropoli pietrificata. Ora stiamo arrancando verso l’ennesimo passo di oltre quattromila metri. L’aria scintilla limpida come un vetro.

Di colpo sul cielo quasi verde si disegnano i vulcani innevati della cordigliera. Sono sette o otto coni che superano i seimila metri e si levano da uno sconfinato salar, uno degli antichi laghi prosciugati frequenti in questi altipiani. Il sale affiora solo a tratti da questo salar ormai morto, ma qua e là la terra è squarciata da piccoli laghi turchesi nitidi come occhi aperti in un viso infangato.

L’avventura è cominciata. Siamo entrati nella terra impareggiabile dei condor e dei mineros. D’ora in poi ci muoveremo verso i passi che portano in Cile, ostruiti dalla neve per gran parte dell’inverno, attraverseremo terre dai nomi affascinanti – casualidad, hombre muerto – scopriremo sconfinati salares dominati da piccole bocche eruttive che hanno deposto la loro nera colata lavica sulla sabbia dorata. Da qui in poi potremo confidare solo sul gps, sul telefono satellitare, sul fuoristrada, sull’abilità del driver e, come sempre nella puna, su un poco de suerte.

Da non perdere

Il tren a las nubes: 800 km di ferrovia, attraverso le Ande a cinquemila metri, senza mai superare la pendenza del tre per cento. L’idea era di promuovere il commercio tra il Cile e il Nord Argentina. A portarla avanti fu un tale Maury, ingegnere Usa. Per completare l’opera ci vollero oltre trent’anni, dal 1909 alla metà degli anni Quaranta. Oggi si percorrono 434 km in 15 ore, con 29 ponti, 21 tunnel e 13 viadotti.

I binari compiono spirali e zig-zag, valicano passi, lambiscono salares, si infilano in una ventina di gallerie, corrono su ponti e viadotti che sarebbero piaciuti all’architetto della tour Eiffel, sempre in un ambiente selvaggio d’alta montagna. Utilizzato principalmente dalle miniere di zolfo della Casualidad, il treno ha conosciuto per anni un impiego anche turistico, divenendo la principale attrattiva di Salta. Si parte all’alba e si rientra alla sera tardi, raggiungendo Abra Chorillos a 4575 m.

I bambini assiderati del Llullaillaco. Nel 1999 su una montagna al confine con il Cile, il Llullaillaco, un vulcano alto 6739 metri, furono trovati i corpi assiderati e perfettamente conservati di tre bambini tra i sei e i quindici anni. Non presentavano segni di violenza.

Prescelti per la loro bellezza e per il loro elevato rango sociale, erano stati portati lassù dagli incas per la celebrazione della capacocha, un rito di fratellanza tra due comunità. Sono tornati alla luce cinquecento anni dopo nella posizione fetale in cui avevano cercato un’estrema difesa dal gelo, innocenti vittime di un rituale che forse non capivano. Oggi i loro corpi e gli oggetti di quel crudele rituale nuziale sono custoditi nel Museo de Arqueologia de Alta Montana di Salta.

Lo stato di perfetta conservazione anatomica e la ricchezza dei corredi ha consentito ricerche di straordinaria importanza sulla civiltà incaica. Sulle cime della zona di Salta erano finora stati ritrovati una ventina di corpi mummificati, uno dei quali esposto al Maam, tutti sacrificati sugli impervi altari delle vette andine.

Buono a sapersi.

Il sito ufficiale dell’Ufficio del turismo dell’Argentina. In spagnolo, inglese e portoghese.

È il sito della Segreteria del Turismo di Salta specificamente dedicato a questa provincia. C’è anche la versione in italiano.

Altro sito su Salta ricchissimo di informazioni e notizie.

Sito web dedicato al museo di Archeologia di alta montagna di Salta, dove sono ospitati i corpi dei bambini del Llullaillaco e i materiali rinvenuti nelle loro sepolture. Interessanti filmati sul ritrovamento.

Cosa ci piace.

Cerro de los Siete Colores. 
La Quebrada de Humahuaca è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità. L’attrattiva principale è il Cerro de los Siete Colores, un’incredibile montagna zebrata che si leva alle spalle dell’abitato di Purmamarca. Il gioco delle stratificazioni rocciose ha disegnato assurdi nastri orizzontali, quasi bandiere deposte sui pendii, che producono un effetto di totale irrealtà.

Tolar Grande.
È una regione grande quanto Piemonte e Lombardia messi insieme ed è abitata da quattromila persone. Si raggiunge il villaggio minerario di San Antonio de los Cobres inseguendo i binari del tren a las nubes che si inerpicano lungo la Quebrada del Toro. Una deviazione a Salinas Grandes deposita al centro di un orizzonte bianco abbagliante come un ghiacciaio, su cui a tratti si disegnano turchesi le piccole piscine squadrate dove si estrae il sale secondo le antiche tecniche andine. Un nuovo passo di quattromila metri conduce nel cuore tormentato del Deserto del Labirinto, oltre il quale si aprono gli spazi senza fine di Tolar Grande.

La Valle Calchaquies e Cafayate
.
È una cittadina a poco meno di duecento chilometri da Salta, circondata da estesi vigneti dove si producono alcuni fra i più famosi vinos de altura argentini, come il Malbec e il Torrontes. Importate dai gesuiti nel Settecento, le viti coprono oggi una superficie di 3200 ettari e si spingono dai 1750 metri dei fondovalle fino agli oltre 3000 di Molinos e Payogasta.
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