Molti la definiscono la città alla “fine del mondo”. E, in effetti, eliminando il pathos un tantino drammatico, la definizione calza a pennello: Ushuaia è la città più australe del pianeta, l’ultima del mondo andando verso sud, insomma.
Per davvero ci si sente come alla fine di qualcosa ad Ushuaia. Il paesaggio è intensissimo e lascia senza respiro: fuori neve, sempre neve. Attorno montagne maestose e appena di là dallo sguardo, il Cile.
Se non siamo alla fine di questo mondo, a Ushuaia siamo senz’altro all’inizio di un altro: le atmosfere sono da favola, con quelle classiche casette di legno che restituiscono la vivida sensazione di una vita sorridente, gli alberi, poi, hanno nomi strani da paese delle meraviglie: Winteri di Drimys, Nothofagus e Magellano di Maytenus, tanto per dire.
C’è un po’ di tutto a Ushuaia. Le giornate scorrono lente, ma mai ripetitive: grossi leoni marini si aggirano in quantità considerevole in riva a quel mare che è perennemente troppo freddo per poter considerare la città balneare, c’è un magnifico Parco Nazionale, il Lapataia, che altro non è se non una foresta vergine fatta di alberi dai nomi impronunciabili e di un’aria tersa e che rigenera i polmoni.
Il parco accoglie una quantità incredibile di castori sempre indaffaratissimi a costruir dighe di ogni tipo. Da Ushuaia si possono raggiungere, dopo una navigazione di otto giorni, Capo Horn e i fiordi occidentali, terre inospitali quanto attraenti e composte dai famosi ghiacciai della cordigliera Darwin.
E la città alla fine del mondo vive pure di leggenda, anzi di una verità talmente romanzesca da entrare nel mito. Ushuaia, durante la prima metà del secolo scorso, funse da prigione.
Ma non fu prigione qualsiasi, bensì un centro per i criminali più pericolosi del pianeta, quelli che avevano commesso crimini orrendi e difficilmente descrivibili.
Gente gettata laddove nessuno voleva andare, dimenticata tra le pieghe del tempo e della neve, logorata da lavori pesanti e distruttivi.
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Per davvero ci si sente come alla fine di qualcosa ad Ushuaia. Il paesaggio è intensissimo e lascia senza respiro: fuori neve, sempre neve. Attorno montagne maestose e appena di là dallo sguardo, il Cile.
Se non siamo alla fine di questo mondo, a Ushuaia siamo senz’altro all’inizio di un altro: le atmosfere sono da favola, con quelle classiche casette di legno che restituiscono la vivida sensazione di una vita sorridente, gli alberi, poi, hanno nomi strani da paese delle meraviglie: Winteri di Drimys, Nothofagus e Magellano di Maytenus, tanto per dire.
Il parco accoglie una quantità incredibile di castori sempre indaffaratissimi a costruir dighe di ogni tipo. Da Ushuaia si possono raggiungere, dopo una navigazione di otto giorni, Capo Horn e i fiordi occidentali, terre inospitali quanto attraenti e composte dai famosi ghiacciai della cordigliera Darwin.
E la città alla fine del mondo vive pure di leggenda, anzi di una verità talmente romanzesca da entrare nel mito. Ushuaia, durante la prima metà del secolo scorso, funse da prigione.
Ma non fu prigione qualsiasi, bensì un centro per i criminali più pericolosi del pianeta, quelli che avevano commesso crimini orrendi e difficilmente descrivibili.
Gente gettata laddove nessuno voleva andare, dimenticata tra le pieghe del tempo e della neve, logorata da lavori pesanti e distruttivi.
Perché fuggire dalla Terra del Fuoco, alla fine del mondo, era impresa impossibile.
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