Argentina, paese degli estremi. È l’impressione che porto con me da quando la conosco a quattro’occhi. Persone gentilissime che ti aprono porta e cuore al volo o cafonazzi che stimolano la recondita voglia di menar le mani.
Buenos Aires megalopoli sconfinata dove non sono i supermercati a farla da padrone ma dove, al contrario, si continua anche ad andare dal fruttivendolo, dal calzolaio e dal macellaio sotto casa senza che nel portafogli vuoto risuoni l’eco. La Villa 31, con le sue vie di fango e le sue leggi della strada, a due passi dal centro sfarzoso, dai palazzi lussosi, da Plaza San Martín, da calle Florida con la Galería Pacifico e giusto accanto all’Hotel Sheraton. E poi bar e ristoranti alla moda e oltre, accanto a baretti e trattorie molto spartani – per non dire di piú – di quelli in cui forse in Italia non entreremmo neanche piú, aspettandoci solo polvere e tristi brioscine confezionate della Bauli.
E invece qui entriamo fiduciosi, pregustando leccornie in locali che spesso, per lo meno a me, fanno fare un tuffo in quella che doveva essere l’Italia anni Sessanta o giú di lí. Tra Guardia Vieja e Billinghurst c’è un angolo vecchio stile che adoro: el Banderín. È uno storico caffè porteño, dichiarato notable nel 2004, giá ve l’aveva raccontato Gabriella in questo post. Di tanto in tanto ci faccio un salto, sola o in compagnia, per passare un momento di stacco.
Mi piace sedermi accanto alla finestra che si affaccia su Guardia Vieja, guardare la gente che passa, indovinare chi entrerá e sbirciare l’altro lato della strada, dove l’altrettanto vecchio almacen racchiude un’infinitá di barili e latte piene di olive e sottaceti. L’anno scorso durante i mondiali di calcio andavo a far colazione al Banderín con due o tre amici guardando la prima partita del giorno, insieme agli altri clienti col naso all’insú verso il televisore che sempre trasmette sport.
Le pareti sono tappezzate di gagliardetti, maglie firmate, ritagli di vecchi articoli che raccontano prodezze sportive. Un gattone si aggira per il locale o se ne sta pigramente accovacciato su una sedia libera, mentre clienti di qualsiasi etá spalancano le porte e si avvicendano ai tavoli e al bancone, dove di norma fa bella mostra di sé una teglia piena zeppa di medialunas e facturas tra le piú ghiotte che io abbia mai mangiato. Con un café con leche ben caldo tra le mani e una medialuna cicciottella da addentare, el Banderín è un bell’angolo di mondo nel quale concedersi una pausa e guardar fuori dalla finestra da una prospettiva d’altri tempi.
Buenos Aires megalopoli sconfinata dove non sono i supermercati a farla da padrone ma dove, al contrario, si continua anche ad andare dal fruttivendolo, dal calzolaio e dal macellaio sotto casa senza che nel portafogli vuoto risuoni l’eco. La Villa 31, con le sue vie di fango e le sue leggi della strada, a due passi dal centro sfarzoso, dai palazzi lussosi, da Plaza San Martín, da calle Florida con la Galería Pacifico e giusto accanto all’Hotel Sheraton. E poi bar e ristoranti alla moda e oltre, accanto a baretti e trattorie molto spartani – per non dire di piú – di quelli in cui forse in Italia non entreremmo neanche piú, aspettandoci solo polvere e tristi brioscine confezionate della Bauli.
E invece qui entriamo fiduciosi, pregustando leccornie in locali che spesso, per lo meno a me, fanno fare un tuffo in quella che doveva essere l’Italia anni Sessanta o giú di lí. Tra Guardia Vieja e Billinghurst c’è un angolo vecchio stile che adoro: el Banderín. È uno storico caffè porteño, dichiarato notable nel 2004, giá ve l’aveva raccontato Gabriella in questo post. Di tanto in tanto ci faccio un salto, sola o in compagnia, per passare un momento di stacco.
Mi piace sedermi accanto alla finestra che si affaccia su Guardia Vieja, guardare la gente che passa, indovinare chi entrerá e sbirciare l’altro lato della strada, dove l’altrettanto vecchio almacen racchiude un’infinitá di barili e latte piene di olive e sottaceti. L’anno scorso durante i mondiali di calcio andavo a far colazione al Banderín con due o tre amici guardando la prima partita del giorno, insieme agli altri clienti col naso all’insú verso il televisore che sempre trasmette sport.
Le pareti sono tappezzate di gagliardetti, maglie firmate, ritagli di vecchi articoli che raccontano prodezze sportive. Un gattone si aggira per il locale o se ne sta pigramente accovacciato su una sedia libera, mentre clienti di qualsiasi etá spalancano le porte e si avvicendano ai tavoli e al bancone, dove di norma fa bella mostra di sé una teglia piena zeppa di medialunas e facturas tra le piú ghiotte che io abbia mai mangiato. Con un café con leche ben caldo tra le mani e una medialuna cicciottella da addentare, el Banderín è un bell’angolo di mondo nel quale concedersi una pausa e guardar fuori dalla finestra da una prospettiva d’altri tempi.
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