Ho scoperto un posto meraviglioso, questa estate, con un viaggio unico, emozionante.
Nel nord-ovest dell’Argentina, oltre la pur bellissima Quebrada de Humahuaca, con gli incredibili colori delle montagne, e le valli Calchaquies, con i cactus giganteschi e i vigneti, oltre Salta la linda.
E’ la Puna argentina, un altopiano magico che, come un gigante pigro, si sdraia tra i 3.600 e i 4.000 metri di altitudine, tra vulcani neri e picchi innevati, più alti di 6 mila metri.
Molti conoscono gli incredibili scenari del deserto di Atacama, in Cile, o del salar di Uyuni, in Bolivia, ma quasi nessuno conosce la Puna argentina, che con loro confina, ma che ha aspetti ancora più spettacolari e soprattutto regala l’incredibile privilegio dell’assoluta solitudine, intere giornate senza incrociare nessuno, rifugi di montagna senza altri ospiti oltre a te.
La sensazione di essere in un posto unico, di partecipare a un’avventura esclusiva.
Elenco momenti, immagini ed emozioni che non dimenticherò: la luce, innanzitutto, sempre così viva e limpida; il sentirsi così vicini al cielo, con le nuvole che salgono dal basso, all’orizzonte; l’aria frizzante, che ha un sapore diverso; l’impossibilità di abbracciare tutto l’infinito con un unico sguardo; i colori, sempre diversi, mille sfumature di nero e grigio, mille sfumature di giallo e ocra; il sole al tramonto che illumina le case di adobe del paesino di El Penon e poi accende d’oro le montagne sullo sfondo; i bambini delle Ande che giocano con una carriola arrugginita e il mio bambino, privilegiato e un po’ malatino, che li guarda con distacco; il tepore della stufa a legna, mentre fuori il vento fischia orgoglioso e il termometro segna qualche grado meno dello zero; la pista di terra, dritta verso l’infinito.
Sebastian non sembra una guida, ma un vecchio compagno di viaggi e avventure: porta la Toyota fuori dalle piste, sulle rocce nere delle pendici dei vulcani, sulle dune di sabbia, tra le rocce di pietra pomice, a cercare i fenicotteri nelle lagune verdi, o sull’immensità bianco abbagliante del Salar del Hombre Muerto, orientandosi con il sole, la croce del sud e, all’occorrenza, l’indispensabile satellitare. Un saluto alle vigogne che scappano veloci e uno alla madre terra Pachamama.
In un posto così non ci si va da soli, serve un aiuto, un supporto logistico. Sulla puna, allora, si va con Socompa (Socompa Puna Adventure Travel, per essere precisi), agenzia viaggi di Salta, inventata da Fabrizio Ghilardi, milanese che, folgorato sulla via per Tolar Grande, la sua Damasco, ha mollato la Milano degli affari per vivere più vicino al cielo, come se tutto fosse sempre un’avventura. La base è la Finca Valentina, appena fuori Salta, la casa di campagna trasformata da Valentina, la moglie di Fabrizio, in un luogo di semplicità e raffinata eleganza, dove l’atmosfera è davvero familiare e l’accoglienza unica.
Nel nord-ovest dell’Argentina, oltre la pur bellissima Quebrada de Humahuaca, con gli incredibili colori delle montagne, e le valli Calchaquies, con i cactus giganteschi e i vigneti, oltre Salta la linda.
E’ la Puna argentina, un altopiano magico che, come un gigante pigro, si sdraia tra i 3.600 e i 4.000 metri di altitudine, tra vulcani neri e picchi innevati, più alti di 6 mila metri.
Molti conoscono gli incredibili scenari del deserto di Atacama, in Cile, o del salar di Uyuni, in Bolivia, ma quasi nessuno conosce la Puna argentina, che con loro confina, ma che ha aspetti ancora più spettacolari e soprattutto regala l’incredibile privilegio dell’assoluta solitudine, intere giornate senza incrociare nessuno, rifugi di montagna senza altri ospiti oltre a te.
La sensazione di essere in un posto unico, di partecipare a un’avventura esclusiva.
Elenco momenti, immagini ed emozioni che non dimenticherò: la luce, innanzitutto, sempre così viva e limpida; il sentirsi così vicini al cielo, con le nuvole che salgono dal basso, all’orizzonte; l’aria frizzante, che ha un sapore diverso; l’impossibilità di abbracciare tutto l’infinito con un unico sguardo; i colori, sempre diversi, mille sfumature di nero e grigio, mille sfumature di giallo e ocra; il sole al tramonto che illumina le case di adobe del paesino di El Penon e poi accende d’oro le montagne sullo sfondo; i bambini delle Ande che giocano con una carriola arrugginita e il mio bambino, privilegiato e un po’ malatino, che li guarda con distacco; il tepore della stufa a legna, mentre fuori il vento fischia orgoglioso e il termometro segna qualche grado meno dello zero; la pista di terra, dritta verso l’infinito.
Sebastian non sembra una guida, ma un vecchio compagno di viaggi e avventure: porta la Toyota fuori dalle piste, sulle rocce nere delle pendici dei vulcani, sulle dune di sabbia, tra le rocce di pietra pomice, a cercare i fenicotteri nelle lagune verdi, o sull’immensità bianco abbagliante del Salar del Hombre Muerto, orientandosi con il sole, la croce del sud e, all’occorrenza, l’indispensabile satellitare. Un saluto alle vigogne che scappano veloci e uno alla madre terra Pachamama.
In un posto così non ci si va da soli, serve un aiuto, un supporto logistico. Sulla puna, allora, si va con Socompa (Socompa Puna Adventure Travel, per essere precisi), agenzia viaggi di Salta, inventata da Fabrizio Ghilardi, milanese che, folgorato sulla via per Tolar Grande, la sua Damasco, ha mollato la Milano degli affari per vivere più vicino al cielo, come se tutto fosse sempre un’avventura. La base è la Finca Valentina, appena fuori Salta, la casa di campagna trasformata da Valentina, la moglie di Fabrizio, in un luogo di semplicità e raffinata eleganza, dove l’atmosfera è davvero familiare e l’accoglienza unica.
Ma è su a 3600 metri, a El Penon, nel mezzo del deserto della puna, tra una mezza dozzina di case di adobe e pochi pioppi piantati e accuditi con amore (qui li chiamano oasi), che sorge la “hosteria de altura”, che Socompa ha in concessione e trasforma in un altro luogo indimenticabile.
Qui ci si ferma, e da qui si parte per l’avventura, verso il Campo di Piedra Pomez, dove le rocce bianche e arancioni di pietra pomice ti fanno sentire in un’altra dimensione, dove le onde di roccia ti fanno perdere il senso dello spazio e del tempo; verso il vulcano Carachi Pampa e la Laguna Grande; verso Antofagasta de la Sierra e, i più fortunati, verso gli scenari irreali di Tolar Grande e il cono di Arita, che si erge, nero e solitario, nella piana desertica, in un mondo di fantasmi.
Quasi un posto di rimpianti, prima ancora di esserne venuti via, prima ancora di pensare di tornarci. Con quel certo senso di leggerezza, quella certa soddisfazione, di sapere di essere andati un po’ più in là di dove arrivano gli altri.
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