Il Giganotosaurus carolinii è considerato il più grande dinosauro carnivoro mai esistito. Vissuto nel periodo cretaceo, il Giganotosauro era un feroce teropode lungo 13 metri e pesante 13 tonnellate, 2 metri di pauroso cranio, misure che umiliano il più noto Tirannosaurus Rex.
È il sogno di ogni paleontologo, specie se di otto anni. Il luogo del ritrovamento – recente – del Gigantosauro, nonché luogo dove sono oggi conservati i fossili originali, è un minuscolo sperduto paesino perso nelle steppe spazzate dal vento del sud della desolata Patagonia argentina.
L’Argentinosaurus huinculensis è invece il più grande dinosauro mai rinvenuto. Anch’esso del periodo cretaceo, l’Argentinosauro è un sauropode, cioè un erbivoro, con un tibia di 155 cm, una vertebra di 159 cm, una lunghezza stimata di 35 metri, un peso di 100 tonnellate.
È il secondo sogno di ogni paleontologo di otto anni. Il luogo del ritrovamento – anch’esso relativamente recente – nonché luogo dove sono conservati i fossili originali, è un minuscolo sperduto paesino perso nelle steppe spazzate dal vento del sud della desolata Patagonia argentina, guarda caso a pochi chilometri da quell’altro sperduto paesino, quello del Giganotosauro.
Comincia così il racconto di un viaggio strano, nella provincia di Neuquén, Patagonia argentina, una regione dimenticata dal mondo, lontana ore di pullman notturni o rari voli interni da ogni altra possibile attrazione turistica. Un luogo per pochi iniziati: la Tierra de Gigantes, la nuova meta del turismo paleontologico.
Neuquèn è il capoluogo. È difficile trovare giustificazioni diverse dai dinosauri per venire fino a qui. Anche se questa regione ha un suo certo fascino nascosto, intimo. Sono i luoghi di Osvaldo Soriano, dei suoi romanzi on the road: ombre tristi e solitarie nella polvere della pampa, acrobati obesi, banchieri in fuga, imprenditori falliti e focose cartomanti nel labirinto sudamericano, giocatori di truco che hanno perso tutto e a cui restano da puntare solo i propri ricordi e le proprie illusioni. Sono i luoghi del Mundial Dimenticato – il mondiale di calcio giocato proprio qui nel 1942, filmato da Guillermo Sandrini, arbitrato dal figlio di Butch Cassidy e vinto dagli indios mapuche in finale contro la nazionale tedesca – leggendaria chicca letteraria e cinematografica da conoscere assolutamente. Luoghi senza tempo, aridi piatti e desolati, spazzati dal vento incessante. Luoghi dell’immaginazione.
Los Gigantes, lago Exequiel Ramos Mexìa, Villa El Chocon
A 80 km a sud-ovest di Neuquèn c’è Villa El Chocòn. Il paesino pare costruito intorno al Museo Municipal Paleontológico “Ernesto Bachmann”, un vero gioiello, dove si trovano le ossa del Giganotosauro, gigas (gigante), notos (vento del sud) e sauros (lucertola), ma anche carolinii, un’assonanza d’amore per il giovane paleontologo. Un’emozione unica, che lascia un vuoto dentro, quasi triste. Il paesino si affaccia sul lago Exequiel Ramos Mexìa, tanto bello quanto sottovalutato. Qua e là, sulla roccia dove un tempo c’erano foreste tropicali, si trovano incredibili impronte di dinosauri: la valle de los dinosaurios. Stradine sterrate, senza alcuna indicazione, portano a baie spettacolari. Sul lato nord, nascoste al paese da un promontorio, le maestose rocce Los Gigantes emergono dalle acque. E il vento freddo del sud spazza tutto. A qualche decina di chilometri c’è Plaza Huincul, un paesino ancora più sperduto, diviso in due dall’unica strada asfaltata; c’è una pompa di benzina e una panetteria che vende pizze che si possono mangiare sulla panchina del piccolo parco giochi. E c’è il museo Carmen Funes, quello con l’Argentinosauro. Ma la vera meraviglia è 90 km a nord-ovest di Neuquèn: sulle rive del lago, tra la terra di arenaria rossa, c’è il Centro Paleontológico Lago Barreales (Proyecto Dino), un sito attivo dove lavorano i paleontologi. I (rarissimi) turisti possono visitare il sito, accompagnati da uno dei paleontologi. Un’opportunità straordinaria per vedere gli scavi, per perdersi nel capannone che funge da deposito di migliaia di reperti che farebbero la fortuna di molti musei, per toccare zanne di T-rex, prendere in braccio uova di 100 milioni di anni fa, scavare, misurare la propria altezza con quella di un femore appena scoperto, che dovrebbe appartenere a qualcosa che non ha ancora un nome, ma che pare più grosso di qualsiasi cosa mai vissuta, anche dell’Argentinosauro. E poi, felici, si torna a casa, con la sensazione di aver cominciato – come diceva Borges – ad imparare la via delle stelle e le usanze del vento, le profezie delle nubi del sud e della luna alonata.
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